Alla Jcb hanno le idee chiare: sotto le 4/5 tonnellate ci sarà spazio per l’elettrificazione solo per le macchine compatte. Se invece volete salire di taglia, allora largo all’idrogeno, abbinato all’endotermico. È quanto emerso dall’anteprima mondiale nel Regno Unito di quel che andrà in onda a partire da martedì 14 marzo sulle frequenze del ConExpo-Con/Agg di Las Vegas. Eravamo presenti in pochi “eletti” della stampa specializzata europea, tra cui noi di POWERTRAIN.

Per i medio-massimi c’è l’idrogeno

Tornando al paradigma della decarbonizzazione vista da Rocester, il quartier generale Jcb, è una questione legata a diversi fattori, in primis la richiesta di energia, che chiaramente dipende dal carico, dai transitori e dai cicli di lavoro, e dalla vocazione applicativa, se trattasi cioè di macchina di servizio o di produzione. Una delle parole chiave per valutare l’efficienza di un sistema propulsivo è il cosiddetto Tco, all’interno del quale si devono necessariamente inserire le tempistiche della ricarica e della conseguente logistica (che soprattutto in un’azienda agricola potrebbe giocare a sfavore di questa opzione). Il “think tank” britannico è partito da una considerazione statistica: la produzione di CO2 deriva principalmente dalle macchine di potenza media. Dal canto loro, le macchine compatte, che rappresentano oltre la metà del parco circolante nei cantieri, contribuiscono solo per il 5% alla produzione di anidride carbonica. Una conclusione a cui è arrivato il gruppo di lavoro è che l’opzione elettrica si rivela interessante quando non crea troppa massa nel veicolo. Lo studio di Jcb equipara le automobili ai miniescavatori, circa 1,9 tonn, per i quali le batterie rappresentano appena il 15% della massa. Ma niente voli pindarici sulle celle a combustibile! Quella tecnologia non è adatta per un ambiente saturo di sporcizia come il cantiere o i terreni agricoli, per questioni legate sia ai parametri termodinamici e ai meccanismi di generazione della potenza che alle dinamiche del post-vendita. Provate a immaginare il servizio di assistenza a un componente così delicato, compresso nel vano dedicato, con una radicale complessità elettrochimica, nel bel mezzo del nulla. Oltretutto, per darvi un ordine di grandezza, le masse radianti e l’intero sistema di raffreddamento hanno un ordine di grandezza circa 2,7 volte superiore di quello dell’equivalente macchina diesel. Altro spunto di riflessione: i tecnici Jcb hanno trovato tracce di residui grafitici della combustione (per capirci, il famigerato particolato, che ci obbliga alla rigenerazione del filtro anche in aperta campagna) nelle membrane delle fuel cell di autobus in servizio a Londra, dove circolano in un ambiente relativamente pulito. Pensate a cosa potrebbe succedere nello scenario elettivo di una pala gommata, un veicolo multiattrezzi o una mietitrebbia? Un ragionamento che vale tanto per l’agricolo quanto per il movimento terra, quindi per l’escavatore a firma Jcb, il 220X da 20 tonn, svelato al pubblico nel luglio del 2020, che abbiamo ammirato nella cava di Wardlow. Un approccio simile a quello di Liebherr, che probabilmente resterà, alla pari degli altri, in stand-by ancora per un po’. La strategia di Jcb promuove il bistrattato motore endotermico, nella fattispecie il 4,8 litri Ecomax, Diesel of the Year 2011, a paladino della transizione, proprio nella versione a idrogeno. Sul ring dell’idrogeno nell’offroad potremmo dire che fuel cell contro endotermico rappresenta l’incontro-scontro tra un ecosistema fragile e un ecosistema robusto. Nella cava di Wardlow, nei paraggi del quartier generale, una terna e un telescopico si sono mostrate a noi nella traduzione “idrogenata”. 

Prêt-à-porter

Si è trattato a tutti gli effetti di una sostituzione con rapporto 1:1, cioè senza modificare il disegno della macchina, una formula applicabile anche su altri modelli, con l’unica ipoteca dell’alloggiamento per il serbatoio dell’idrogeno. Monoblocco identico, massima scalabilità dei sub-componenti (uno degli obiettivi dell’ingegneria britannica è l’intercambiabilità della macchina, immaginando una produzione ecumenica e simultanea per il diesel e l’idrogeno) e una revisione dei processi legati alla sovralimentazione, all’ignizione, e alla gestione del vapore acqueo, delle pressioni e del delta termico. Si sa, l’idrogeno ha un “carattere scorbutico”, ma la ricerca nello storage e nella erogazione del carburante hanno fatto passi da gigante. Questo elemento chimico non necessita della massima espansione per armonizzare la combustione. Per questa ragione è stato studiato nel dettaglio l’angolo d’iniezione. Non può chiaramente essere ignorata la produzione di vapore, inedita nei paraggi della camera di combustione con il gasolio, che deve essere monitorata e processata. Non è un caso che le candele siano di acciaio inox. 

Applicazioni

Abbiamo citato il parallelismo tra auto e miniescavatori, per i quali il pacco batterie ha sicuramente senso e appare come una corsia preferenziale, per non dire obbligata (è il caso degli autobus urbani e lo sarà sempre più anche per l’ultimo miglio, cioè furgoni, furgonette e minivan). Cambiando scenario, immaginando un trattore al lavoro per 16 ore al giorno, questo richiederebbe circa 200 pacchi batteria, quindi fino a 10 tonnellate in più e una forbice di prezzo superiore di circa 4,3 volte. Per le macchine agricole il calcolo diventa competitivo con un ciclo di lavora di appena 4 ore al giorno, che è semplicemente risibile durante le fasi di semina e raccolto e negli altri picchi stagionali.  Il ciclo di lavoro di una minipala consente lunghi periodi di stand-by per far fronte alla ricarica. Pensate invece a una terna, in un qualsiasi cantiere indiano, senza peraltro scomodare un escavatore tra 36 e 98 tonn: con 3.000/4.000 ore di esercizio, quando e come ricaricare? 

Del resto, esiste un evidente “job-site limit”, l’allacciamento alla rete elettrica. A proposito di job-site limit, Jcb ha ideato un “mobile refueling bowser”, cioè una unità trasportabile, movimentabile con un qualsiasi muletto. Questo “serbatoio ambulante” contiene una quantità di idrogeno sufficiente a riempire 16 terne e può essere trasportato su qualsiasi veicolo. Con una capacità di un chilo al minuto, i tempi di ricarica diventano quindi compatibili con le esigenze degli utilizzatori, che hanno due richieste inderogabili: la mobilità delle sorgenti combustibili e la massimizzazione del minutaggio lavorativo.

E il 6 cilindri?

Nella cava di Wardlow, quello che in lingua madre chiamano “refueler” era a rimorchio di un Fastrac, un’altra applicazione che potrebbe in futuro convertirsi all’idrogeno. La sfida motoristica in casa Jcb è stata al momento raccolta dal 4,8 litri. C’è però un 6 cilindri da 7,2 litri, ancora fermo allo Stage II, che spopola nel mercato indiano. L’idrogenizzazione potrebbe essere l’occasione per la sua definitiva consacrazione? 

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