EV secondo Toyota, siamo proprio sicuri che il futuro sia veramente dietro alla porta? Secondo Aiko Toyoda, infatti, «l’auto elettrica è un business immaturo». Se avesse pronunciato questa frase un redattore della rivista DIESEL, sarebbe stato accusato di lobbismo al soldo delle compagnie petrolifere. Dal momento che Aiko Toyoda di professione fa l’amministratore delegato di Toyota, che con l’elettrico ha un certo appeal (e con l’idrogeno pure, lo sanno anche le conchiglie…), forse vale la pena prendere sul serie l’esternazione. Una manifestazione di malessere, nei confronti del pensiero unico della elettrificazione a tappe forzate, che ha trovato vasta eco anche nell’editoria generalista.

EV secondo Toyota

EV secondo Toyota: l’esternazione shock di Aiko Toyoda

Toyoda ricopre anche l’incarico di presidente dell’associazione dei costruttori di automobili giapponese, la Japan Automobile Manufacturers Association. Toyoda è consapevole che fare carta straccia della letteratura sulla pulizia dei gas allo scarico non è un’operazione lungimirante. «Quando i politici fanno sapere di volersi liberare di tutte le auto che usano benzina» ha detto il ceo di Toyota, «capiscono cosa comporterebbe tutto questo?». L’accusa di inadeguatezza della capacità della rete elettrica si evince chiaramente da questo passaggio: «Più veicoli elettrici produciamo, più salgono le emissioni di anidride carbonica». La rete in questione è quella giapponese, che si affida soprattutto alla infrastruttura nucleare, oltre al carbone e al gas naturale. In Europa gioca la parte del leone l’idroelettrico, oltre al peso crescente delle biomasse, che tinteggia di verde l’erogazione di energia alle colonnine di ricarica.

È un business immaturo!

Torniamo alla frase d’esordio, quella relativa alla scarsa plausibilità dell’elettrico come sostitutivo tour court dei motori a combustione interna. Per la precisione il rischio, secondo Toyoda, è quello di «far collassare l’attuale modello di business dell’industria automobilistica». Il che significa, in altri termini, la fuoriuscita dal mercato del lavoro di milioni di occupati, oltre a sottrarre risorse per una democratizzazione della decarbonizzazione. Un  modello cioè che sarebbe ‘sostenibile’ soltanto per pochi.

 

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